16 dicembre 2018

Una veduta dell'abside di San Francesco dalla centralissima Piazza Maggiore di Bologna


Se in Piazza Maggiore si sale sulla gradinata della basilica di San Petronio e si guarda il prospiciente Palazzo del Podestà si potrà notare, oltre il finestrone centrale del Salone dei Quattrocento, l'abside del bel San Francesco.

Fig. 02
Si tratta di un affresco [Fig. 02] conosciuto come La Città degli studi del ciclo decorativo  del 1907 promosso nel dalla Società Francesco Francia e vinto dal progetto Savena dell'architetto Alfredo Brizzi e del pittore Adolfo De Carolis (1874-1928), ex allievo dell'Accademia bolognese sotto la guida di Domenico Ferri.
La composizione, inscritta in un arco, come le altre scene della parete che "riassume in forma d'arte la storia e i fasti della città di Bologna", può essere divisa in tre registri: in quello superiore, che occupa oltre la metà dell'affresco, l’abside di San Francesco con la tomba di Irnerio in stile neogotico; al centro, è allineata la teoria dei dottori, studiosi e poeti, “ieratici nei loro costumi arcaizzanti”, tra i quali è riconoscibile, di profilo, Dante Alighieri; in primo piano, gli scolari e le allegorie del Trivio e del Quadrivio vivacizzano la scena nella varietà delle loro pose.

03

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Le notizie e la Fig. 02 sono tratte dalla pagina di www.bibliotecasalaborsa.it (con ricca bibliografia); altre notizie si ricavano dalla scheda di www.culturaitalia.it relativa al bozzetto ad olio conservato nella "Raccolta De Carolis" del Comune di Montefiore Conca e da cui è tratta la Fig. 03 (vedi in proposito anche la scheda di www.museipiceni.it). Il Museo d'Arte Moderna di Bologna (MAMbo) conserva il progetto della decorazione dell'intera parete nord di cui la Fig. 04 (vedi scheda di www.mambo-bologna.org).

11 dicembre 2018

Tracce di un antico affresco alla base del campanile grande di San Francesco


Solo un occhio attento riesce a riconoscere alla base del campanile grande, lato settentrionale, sotto l'atrio romanico, la traccia di un dipinto raffigurante due santi di cui ancora rimane, insieme ad una sorta di ombra, il duplice rilievo delle aureole.
L'archivio della Fondazione Federico Zeri di Bologna ne conserva una foto scattata dallo studio bolognese Achille Villani & Figli (notizie e immagine 02 dalla pagina di catalogo.fondazionezeri.unibo.it). Il p. Luigi Garani nel suo Il bel San Francesco di Bologna del 1948 (Bologna, Tipografia Luigi Parma) ne accenna in questi termini: «Su di un pilone fu scoperto, durante i lavori di restauro del secolo scorso, un affresco quattrocentesco, rappresentante i SS. Pietro e Paolo, ora completamente svanito» (p. 257). Di quei giorni le foto 03 e 04 tratte dall'archivio della Fabbriceria (cart.gr. V, cc 8 e 8bis, segnalazione di Elisa Baldini).

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9 dicembre 2018

La preghiera all'Immacolata dell'Arcivescovo Matteo Maria Zuppi in occasione della Fiorita 2018


Vergine Santa e Immacolata, 
madre che custodisci con amore tutta la città degli uomini e ogni persona, 
cercare te ci aiuta ad alzare il nostro sguardo e trovarti ci riempie di gioia. 
Ci rivolgiamo a Te con la fiducia e l’intimità dei figli, 
sentendo la dolcezza della tua protezione. 
Tu vuoi che i nostri occhi rimangano fissi in Dio 
per potere contemplare il mondo e saper vedere oggi segni dell’avvento.
Maria tutta santa, tu susciti in noi un rinnovato desiderio di santità, 
cioè vivere l’amore che Dio ha messo nel cuore di ognuno 
e per il quale siamo a questo mondo. 
Tu conosci le nostre fatiche, 
le ferite nascoste del nostro cuore, 
la tentazione di non credere più all’amore 
e di fare vincere la disillusione che spegne la speranza. 
Donaci la gioia di ascoltare e seguire il tuo Figlio, 
l’entusiasmo di correre come te verso i nostri fratelli. 
Insegnaci a non giudicare senza aiutare, 
a non lasciare nessuno solo, particolarmente nella sua debolezza, 
a non arrenderci alla difficoltà.

Maria, Tota pulchra, tutta bella, 
ti ringraziamo perché in un mondo complicato e che ci riempie di paure, 
individualista e alla ricerca del prossimo, presuntuoso e fragile, 
Tu ci mostri la bellezza che non delude e non finisce, il tuo figlio Gesù. 
In Te vediamo tutta la grazia di essere amati da Dio, 
la forza che innalza gli umili 
e capiamo che il valore e la bellezza delle nostre povere persone 
non viene dalla vanità dell’orgoglio ma dall’amore di Dio.

Maria, Madre delle tenerezza, 
insegnaci a proteggere il dono della vita dal suo inizio alla sua fine. 
Aiuta i piccoli della nostra Città e le loro famiglie, 
i bambini, soprattutto quelli che sono malati e gli anziani, 
chi sperimenta l’amarezza della solitudine o non si riconosce più. 
Ti preghiamo con tanta insistenza per i giovani 
perché con coraggio mirino alle cose più belle 
e conservino sempre un cuore libero, 
rispondano come Te alla chiamata che Dio rivolge a ciascuno, 
perché realizzino il proprio progetto di vita e raggiungano la felicità.

Maria 
insegnaci ad essere comprensivi e solidali con chi ha bisogno, 
a coltivare il senso del bene comune e di ogni persona, 
a parlare sempre la lingua dell’amore 
che tutti comprendono nella loro condizione, 
perché si veda attraverso di noi la luce della speranza di Dio e la sua presenza.
Esaudisci le suppliche che portiamo nel nostro cuore e affidiamo a Te. 
Sia in noi la bellezza dell’amore di Dio in Gesù, 
sia questa divina bellezza a salvare noi, la nostra città, il mondo intero. 

Amen.

Matteo Maria Zuppi
Arcivescovo metropolita di Bologna
8 dicembre 2018
(dalla pagina di www.chiesadibologna.it)




7 dicembre 2018

L'incarnazione della Vergine in sant'Anna come Immacolata Concezione in un dipinto di Bartolomeo Cesi (1593/95) già in San Francesco

Bartolomeo Cesi
Incarnazione della Vergine in sant'Anna come Immacolata Concezione
1593/1595
Bologna, Pinacoteca Nazionale (sala 22)

La grande pala, opera del bolognese Bartolomeo Cesi (1556-1629), era originariamente collocata nella cappella Desideri di San Francesco, ove rimase esposta sull'altare maggiore sino alle soppressioni napoleoniche. La complessità del soggetto trova rispondenza nel forte sostegno da parte dell'Ordine francescano all'idea immacolatista, che sarà riconosciuta come dogma solamente nel 1854. Di particolare intensità è la figura di sant'Anna, raffigurata col volto segnato dagli anni, in atteggiamento misto di adorazione e ringraziamento per l'inaspettata gravidanza.
L'opera è caratterizzata da una severità rappresentativa e da una semplificazione iconografica in chiave neoprospettica, atte ad agevolare una lettura devota; questo secondo il costante indirizzo del Cesi, che si accentua in questi anni all'aprirsi del Seicento.
Un'altra versione del tema, documentata nel 1600, si trova nella chiesa bolognese di Santa Maria della Pietà, detta dei Mendicanti.

Le notizie relative al dipinto sono in gran parte tratte del depliant La bellezza dell'arte e i francescani. Itinerario tra i dipinti della Pinacoteca Nazionale di Bologna provenienti dalla Basilica di San Francesco, 15 settembre-15 ottobre 2018 realizzato in occasione della X edizione del Festival Francescano svoltosi nella città felsinea dal 28 al 30 settembre 2018, sul tema "tu sei bellezza" e anche dalla scheda alla pagina di www.pinacotecabologna.beniculturali.it da cui è tratta l'immagine pubblicata.

A lato la pianta della chiesa di San Francesco prima dell'intervento di restauro iniziato alla fine del secolo XIX, con indicata la posizione della "Cappella di Sant'Anna de Desideri" (VIII)

5 dicembre 2018

Le campane di San Francesco


Allontanati da San Francesco a seguito delle soppressioni napoleoniche, i frati solo nel 1841-42 poterono tornare nell'antico convento e nell'attigua chiesa, ridotta però ad un cumulo di rovine. Fu subito promosso un comitato per il restauro del tempio e nel 1845 si trovarono i fondi per intraprendere i lavori più urgenti. Nel 1847 furono commissionate alla Fonderia Brighenti quattro campane poi collocate sul campanile maggiore, un nuovo melodioso doppio bolognese, fuso con abbondante oro e argento raccolto tra la cittadinanza, che andava a sostituire quello distrutto nel 1796.
Ma con la soppressione degli ordini religiosi da parte del Regno d'Italia e il conseguente incameramento dei beni (1866) le campane furono alienate, acquistate da commercianti ebrei che a loro volta le rivendettero a don Pietro Burlandi, parroco di Santo Stefano di Venola, sull'appennino bolognese, presso Marzabotto. L'acquisto fu autorizzato dall'allora Vicario capitolare di Bologna Antonio Canzi, vescovo titolare di Cirene, con la condizione che qualora i frati, con la riapertura al culto della loro chiesa, avessero richiesto le campane, la parrocchia sarebbe stata obbligata a restituirle, non senza comunque avere in cambio un congruo compenso. Alla morte di don Burlandi però, il nostro fr. Fulgenzio Serra Zanetti, per evitare che gli eredi alienassero le campane, le acquistò con la facoltà di ritirarle quando a lui fosse piaciuto. Ma quando si presentò a reclamarle gli vennero rifiutate. Morto il Serra Zanetti il diritto passò al convento e i frati, particolarmente dopo che nel 1886 la chiesa fu restituita e riaperta al culto, si affrettarono a dimostrare i loro diritti pienamente riconosciuti dall'autorità ecclesiastica, ma non da quelli di Venola. A nulla valse un decreto con cui nell'ottobre 1910 l'allora Arcivescovo Giacomo della Chiesa (il futuro Benedetto XV) ordinava la restituzione delle campane. 
Finalmente un accordo si raggiunse nel 1926 con l'impegno dei frati a consegnare alla Parrocchia di Venola quattro campane di eguale peso, misura e tonalità. Ma si dovette attendere fino al 6 marzo 1931 per vedere l'effettivo ritorno delle campane in San Francesco dal cui campanile tornare a suonare la successiva domenica 3 maggio.
Alla pubblica sottoscrizione fu provvidenziale l'intervento di Angela Angeli di Pontecchio che vi partecipò in memoria dello zio, l'ingegnere Enrico Angeli. La stessa generosa donatrice fece pure fondere nel 1931 un nuovo grosso campanone che venne ad accordare ed arricchire tutto il concerto e, nel 1935, fece porre un'altra campana sul campanile piccolo.

La vicenda è così sintetizzata in una lapide murata alla base del campanile grande:

LE VETUSTE CAMPANE DEL TEMPIO DI SAN FRANCESCO IN
BOLOGNA, TRASFERITE LXV ANNI OR SONO NELLA PARROC
CHIA DI VENOLA IN QUEL DI MARZABOTTO FURONO NEL
SETTIMO CENTENARIO DALLA MORTE DI S. ANTONIO DI
PADOVA. RICOLLOCATE IN QUESTA ARTISTICA TORRE A
CURA DEL CARDINALE ARCIVESCO G. BATTISTA NASALLI
ROCCA DI CORNELIANO PER OPERA SOLERTE DEL P. M.
FRANCESCO BONFANTE PROVINCIALE DEI FRATI MINORI
CONVENTUALI E PER MUNIFICA OFFERTA - DONO POSTUMO - 
DEL COMPIANTO PATRIOTA ING.RE ENRICO ANGELI DA VICENZA
E QUI' RIPRESERO COL RITMO LORO GIULIVO A CELEBRARE
LA GLORIA DI DIO E DEI SUOI SANTI IL III MAGGIO
DELL' ANNO DI GRAZIA MCMXXXI


Nel dettaglio questa la descrizione delle cinque campane attualmente sul campanile grande:

I: Re3 crescente, fusa da Cesare Brighenti nel 1932, ed ha un diametro di 131 cm. Pesa circa 16 quintali. Reca da un lato il testo del Cantico di frate Sole (o delle creature) e dall'altro la seguente iscrizione: ENRICO ANGELI SEGUACE DI GARIBALDI AD ASPROMONTE, VOLONTARIO NEL MDCCCLXVI, COMPAGNO DI CAROLI A VILLA GLORI, TRASSE DA LA CAPACE ANIMA EROICA PURISSIMI VALORI CHE DI LUI AFFERMARONO UN VALORE UMANO. N. A VICENZA II NOVEMBRE MDCCCXLV, M. A BOLOGNA XXI DICEMBRE CMCXXVII 
II (la grossa): Fa3 crescente, fusa da Gaetano e Clemente Brighenti nel 1847, ed ha un diametro di 110,1 cm. Pesa circa 8,5 quintali. Venne dedicata all'Immacolata e reca la seguente iscrizione: GAUDIA CELITUM IN PACE CHRISTI MORTUIS IMPETRA O CLEMENS O PIA O DULCISSIMA D. M. MARIA, LABIS NESCIA QUOTIES EMITTO VOCEM LUGUBREM AES TIBI CREDITUM QUOD IDEM DUM ORITUR SOL DUM OCCIDIT STRENUE TE SALVERE IUBEO. DEI MATREM PLENA GRATIAE CAELORUM POTENTEM 
III (il mezzanone): Sol3 crescente, fusa da Gaetano e Clemente Brighenti nel 1847, ed ha un diametro di 97,8 cm. Pesa circa 5,92 quintali. Venne dedicata a san Francesco con l'auspicio che i frati non avessero più ad abbandonare la sua chiesa: HOC PETO VOCE MEA SPLENDIDA FRANCISCE COELESTIS PATRONE NE QUIS FOEDET TUAS AEDES ITERUM, NEU ABHINE PROCUL ITERUM EXPELLAT TUOS ASSECLAS QUIBUS DEBEO QUOD MIHI SOLLEMNE EST SI TUA PRECONIA CANO
IV (la mezzana): La3 crescente, fusa da Gaetano e Clemente Brighenti nel 1847 e rifusa da De Poli di Vittorio Veneto nel 1968, ed ha un diametro di 84,6 cm. La campana originale pesava circa 4,24 quintali, l’attuale campana pesa circa 3,33 quintali. Venne dedicata a sant'Antonio di Padova e agli altri santi francescani e reca l'iscrizione: ANTONI POTENS MALORUM BONAVENTURA DOCT. ECCL. CLARA VIRGO IOSEPH CUPERTINAS ET QUOTQUOT ESTIS FRANCISCALES COELITUS IN QUORUM HONOREM SUM AES PLENUM SONITU FUGIANT A VOCE MEA FULMINA FUGIANT GRANDINES ET PESTES ET OMNIS GENERIS ADVERSA
V (la piccola): Do4 crescente, fusa da Gaetano e Clemente Brighenti nel 1847, ed ha un diametro di 74,6 cm. Pesa circa 2,90 quintali. Venne dedicata alla Santissima Trinità e reca la seguente iscrizione: QUOD EX ALTO VOCE TINNULA INDICO PSALMOS IN HONOREM UNIUS TRINIQUE DEI SEMPITERNI MAGORUM SIDERIS AES REFERO VIM ET VIRTUTEM CUCURRITE ERGO QUI ME AUDITIS SOLLECITI LATURI MUNERA LAUDUM REGI REGUM OPTIMO OMNIPOTENTI

Nel campanile piccolo è presente una campana in Mi3 crescente, fusa da Cesare Brighenti nel 1935, ed ha un diametro di 120 cm e un peso di circa 12 quintali.   

Originariamente montate alla bolognese, le campane del campanile grande sono state elettrificate e bilanciate nel 1968 per motivi di staticità del campanile.


Le notizie qui riportata sono tratta da: Luigi Garani, Il bel San Francesco. La sua storia, Bologna, Tipografia Luigi Parma, 1948, pp. 163, 201-202, 257-259; sull'argomento si veda anche: Giuseppe Rivani, I campanili e le campane di San Francesco in Bologna in: "Miscellanea francescana di storia, di lettere, di arti" XXXIII, 1933, 143-148; foto e trascrizione della lapide alla pagina di www.storiaememoriadibologna.it; i dati tecnici delle campane sono prese dalla pagina di www.youtube.com. Su YouTube sono caricati diversi video relativi alla campane di San Francesco, quello qui pubblicato è preso da qui ed è stato caricato da Andrea Tescari. Si tratta, come egli stesso lo descrive, di «una suonata "a doppio" con le 4 campane maggiori (Re3-Fa3-Sol3-La3, formanti il "quarto" in tono minore) a bicchiere ripresa dalla cella campanaria (salita delle campane "in piedi", esecuzione del pezzo "tre fatte a Campanini e Mezze con le due d'organo prima, in mezzo e dopo" e discesa delle campane) eseguito in modalità elettrico-manuale dalla tastiera della centralina di comando alle ore 10.45 quale segno per la S.Messa delle ore 11 [del 4 ottobre 2018] nella festività di S.Francesco d'Assisi Patrono d'Italia».

2 dicembre 2018

Uno schizzo a penna dell'abside di San Francesco in una cartolina del 1927


Nel 1927, in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale che si tenne nella città felsinea dal 7 all'11 settembre, le Edizioni L. Mantovani di Bologna pubblicarono una serie di 27 cartoline riproducenti altrettanti schizzi firmati Veratti. Tra esse una veduta dell'abside e del fianco settentrionale del Tempio monumentale di San Francesco (Piazza Malpighi) accompagnata dalla seguente descrizione:
È questa la prima chiesa costruita in Italia a tre navate in stile ogivale, e la sua fondazione si fa datare dal 1236. L'abside magnifica, ed i suoi campanili, di cui il maggiore è opera di Maestro Antonio di Vincenzo, sono di una pittoresca e sorprendente imponenza. Dal 1888 essa ha riavuto tutta la originaria sua forma architettonica in seguito ai lavori di ristauro guidati dal Rubbiani. Nell'interno sono varie cappelle di nobili famiglie bolognesi, recentemente restaurate. Splendido l'altare maggiore a bassorilievi, statue (80), guglie e trafori opera dei veneziani fratelli Jacobello e Pier Paolo delle Masegne. La facciata maggiore di tradizione romanica, è decorata nel frontone da preziose scodelle in ceramica.

Scheda alla pagina di badigit.comune.bologna.it da cui è tratta l'immagine qui pubblicata. Per il non meglio identificato autore si vede la scheda di www.collezionesalce.beniculturali.it

Giacomo Leopardi ospite a San Francesco di Bologna dal 17 al 27 luglio 1825


Diretto a Milano per un impegno con l'editore Stella, Giacomo Leopardi (1798-1837) si fermò il 17 luglio del 1825 a Bologna: era prevista una sosta tecnica per il cambio dei cavalli, ma non era stato prenotato alcun albergo. Accettò quindi l'invito del suo compagno di viaggio, padre Luigi Poni, un vecchio amico del conte Monaldo, ad alloggiare nel convento di San Francesco, dove rimase nove giorni.
Così in proposito il 22 luglio 1825 da Bologna scrive al genitore: «Io sono stato e sono ancora alloggiato ai Frati Conventuali, cioè al convento del mio compagno di viaggio» (XXIV: Giacomo Leopardi, Carissimo signor padre. Lettere a Monaldo, Venosa, Osanna,  [1997]).
In città Giacomo fa alcune conoscenze importanti ed è accolto con favore nei salotti letterari cittadini. Nelle sue lettere descriverà Bologna come «quietissima, allegrissima, ospitale», «piena di letterati nazionali, e tutti di buon cuore, e prevenuti per me molto favorevolmente». E al fratello Carlo dirà: «Mi sono fermato nove giorni e sono stato accolto con carezze ed onori ch'io era tanto lontano d'aspettarmi, quanto sono dal meritare».
Positivo è anche il giudizio complessivo: «Bologna è buona, credilo a me che con infinita meraviglia, ho dovuto convenire che la bontà di cuore vi si trova effettivamente, anzi vi è comunissima».
Del padre Luigi Poni si sa che era nato a Bevagna (Perugia) e apparteneva alla Serafica Provincia dell'Umbria. Missionario in Oriente dal 1805, fu Ministro provinciale di quella giurisdizione dell'Ordine dal 1818 (cf. Provincia d'Oriente e Terra Santa di San Francesco d'Assisi Frati Minori Conventuli, In cammino... verso il Padre. Necrologio, [s.l., s.n.,  2002], 3 ottobre)

Le informazioni qui pubblicate sono in gran parte tratte dalle pagine Breve soggiorno di Giacomo Leopardi a Bologna della Cro]nologia di Bologna dal 1796 ad oggi e Convento San Francesco della Mappa degli scrittori a Bologna tra 800 e 900 di www.bibliotecasalaborsa.it


1 dicembre 2018

Il Voltone di San Francesco in un disegno di Pio Panfili del 1810

Pio Panfili
Voltone da S. Francesco guardando il Convento in allora da PP. MM. Conventuali, oggi la Dogana

(1810)
inchiostro bruno e acquerello grigio su carta avorio, 225x156 mm
Bologna, Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio, GDS, Cartone Panfili c. 54

Il Gabinetto disegni e stampe dell'Archiginnasio di Bologna conserva una raccolta di disegni e stampe di Pio Panfili (1723-1812) tra cui quello del Voltone di San Francesco, con la veduta dell'ingresso all'ex convento e, sullo sfondo, i due campanili, da Via Porta Nova. 
Si tratta, come lui stesso annotato, della copia che l'Autore fece nel 1810 di un precedente suo disegno del 1796.

Scheda dell'opera alla pagina di badigit.comune.bologna.it da cui è tratta l'immagine qui pubblicata.

29 novembre 2018

Il monumento sepolcrale di Alessandro V, morto a Bologna nel 1410


Morto a Bologna il 3 maggio 1410, l'antipapa francescano Alessandro V (Pietro Filargis, detto Pietro di Candia) fu sepolto nella chiesa del suo Ordine della città, il nostro bel San Francesco.
Il monumento sepolcrale giunto fino a noi e originariamente collocato nell'ambulacro absidale, si compone di due parti in terracotta policroma e dorata. La prima, più antica, è costituita dall'arca con la figura adagiata del pontefice con la tiara sul capo e un cuscino ai piedi, sovrastata dalle statue della Vergine col Bambino e dei santi Francesco e Antonio. Ha il fronte tripartito, decorato negli scomparti da motivi polilobati di derivazione gotica, con al centro soli fiammeggianti, emblema araldico del Filargis. L'arca, con ogni probabilità sorretta da mensole secondo un uso attestato anche nella Bologna dell'epoca, fu realizzata dal fiorentino Nicolò di Pietro Lamberti pare nel 1423, ma era comunque compiuta nel 1424 quando è citata nei registri del convento.
La parte inferiore, consistente nell'alto piedistallo con i due angeli che portano la cornucopia e due scudi con il già visto sole raggiante, è opera del mantovano Sperandio Savelli della fine del 1482, elemento che diede alla tomba un tono pienamente rinascimentale, superando l’aspetto ancora trecentesco che caratterizzava la sistemazione del Lamberti. «Va detto tuttavia - così continua Michele Danieli nelle note storico-critiche redatte in occasione dell'ultimo restauro - che i due angeli, pur se inquadrati da un’architettura composta con elementi classicheggianti, conservano una precisa impronta mantegnesca, certo appresa nella natia Mantova e coltivata nella Ferrara di Cosmè Tura e Francesco del Cossa. L’idea delle figure inserite in nicchie del piedistallo sembra riprendere la soluzione adottata da Donatello e Michelozzo nel Battistero di Firenze per il sepolcro di Baldassarre Cossa, Legato di Bologna e discusso successore di Alessandro, col nome di Giovanni XXIII (poi deposto dal Concilio di Costanza)».
Originariamente, come riportato dal Righini (Ms. 38, pp. 27-29), esisteva una iscrizione ora perduta che ricordava l’eloquenza oratoria del papa, i suoi scritti, i diversi episcopati ed infine la sua elevazione al soglio pontificio. Da una lapide ricordata in un documento del 1784 (Bologna, Archivio di Stato, Stato del Convento di S. Francesco, tomo I), si apprende che la tomba fu restaurata nel 1584, ad opera di frate Battista Pagani dei Zanettini, e nel 1672. Vi è anche notizia di un affresco con ampio drappeggio rosso che faceva da sfondo alla tomba, con il Padre Eterno centralmente, sopra la statua della Madonna, rispondente ad una incisione nel volume secondo dell’edizione del 1677 delle Vitae, et res gestae Pontificum romanorum et S.R.E. Cardinalium... del domenicano Alfonso Chacón [Fig. 03], in coincidenza dei restauri del 1584, e che probabilmente aveva sostituito uno più antico.
Fino al 1806, l’arca rimane nella collocazione originaria, dietro al coro, quando chiusa la chiesa e spogliata di tutti i tesori d’arte, viene demolita e i frammenti con le ceneri del Papa, vengono portati al nuovo cimitero comunale allora aperto alla Certosa, fuori delle mura.  
Tali frammenti rimasero trascurati ed abbandonati in quella sede fino al 1837, quando il Comune commissiona la ricomposizione del monumento, al quale mancavano molte parti, sostituite con altre di scagliola, illustrato nella secondo volume dell'Eletta dei monumenti del 1840 [Figg. 04 e 05]. 
Nel maggio del 1889 la cassa e le ceneri del papa furono riportate in San Francesco con una solenne funzione funebre, e collocate dietro l’altare maggiore dove attesero fino al 1893, anno in cui a spese del papa Leone XIII, la grande terracotta scomposta in 100 pezzi venne ricostruita, sotto la direzione di Alfonso Rubbiani, nella posizione attuale, a ridosso della parete della seconda campata della navata settentrionale [Fig. 06].
La tomba fu danneggiata nel crollo di alcune parti della chiesa a seguito del duplice bombardamenti del 1943, probabilmente in quello del 25 settembre [Fig. 07].
L'ultimo restauro (a cui si riferisce la veduta d'insieme della Fig. 01 e il particolare della Fig. 02) è stato eseguito nel 2007 dallo studio bolognese di Patrizia Cantelli, grazie al contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e della Fondazione  Cassa di Risparmio in Bologna.

(Le notizie qui riportate sono tratte principalmente dagli studi di Michele Danieli e Patrizia Cantelli citati in bibliografia)


Fig. 02
Fig. 03

Fig. 04
Fig. 05

Fig. 06
Fig. 07

Bibliografia
  • Michele Danieli, L'arca di papa Alessandro V nella chiesa di San Francesco in Bologna, in "Il Santo" XLVIII, 2008, 283-286
  • Patrizia Cantelli, Il restauro dell'arca di Alessandro V, in "Il Santo" XLVIII, 2008, 287-292
  • Luigi Garani, Il bel San Francesco di Bologna. La sua storia, Bologna, Tipografia Luigi Parma, 1948 , pp. 125-128, 178-179 e figg. 31, 68-69
  • Francesco Filippini, Nicolò Lamberti e il monumento di Alessandro V in Bologna, Stab. tip. riuniti, 1929 (Estr. da: "Il comune di Bologna", n. 11, novembre 1929)
  • Alfonso Rubbiani, La tomba di Alessandro V. in Bologna. Opera di M. Sperandio da Montova, Bologna, presso la Deputazione di Storia Patria, 1894 (Estr. da "Atti e memorie della R. deputazione di storia patria per le provincie di Romagna", s. 3., vol. 11., fascc. 1-3)
  • Benedetto Visibelli, Eletta dei monumenti più illustri e classici, sepolcrali ed onorarii di Bologna e suoi dintorni, compresi gli antichi del cimitero, vol. 2, Bologna, Litografia Zannoli, 1840, pp. [23-24], tav. [9], online alla pagina di www.e-rara.ch
  • Alfonso Chacón, Vitae, et res gestae pontificum Romanorum et s.r.e. cardinalium ab initio nascentis Ecclesiæ vsque ad Clementem 9. p.o.m  [...], v. 2, Romæ, Cura, et sumptib. Philippi, et Ant. de Rubeis, coll. [777-779]), online alla pagina di archive.org

Altri riferimenti fotografici
  • Foto di Pietro Poppi post 1889 alla pagina di collezioni.genusbononiae.it (con scheda)
  • Foto secc. XIX-XX (1870 ca-1920 ca) alla pagina di catalogo.fondazionezeri.unibo.it
  • Foto 1929 alla pagina di senato.archivioluce.it

27 novembre 2018

La statua dell'Immacolata di Agostino Corsini (1734) già in San Francesco



Forse non tutti sanno che la bella statua dell'Immacolata collocata nell'omonima cappella della Basilica bolognese di San Petronio, proviene dalla Cappella Palmieri di San Francesco. Con ogni probabilità portata lì a seguito della soppressione napoleonica che, all'inizio del secolo XIX, impose la chiusura della chiesa francescana che venne adibita a dogana.
«Chiusa dunque la chiesa - così scrive il p. Bartolomeo Dal Monte Casoni in una relazione del 1954 da titolo Del culto della B.V. Maria in genere ed alla B.V. Immacolata in ispecie -, il Patrono della Cappella (Famiglia Palmieri) provvide a mantenere al culto la venerata statua, facendola trasferire alla vicina chiesa parrocchiale di S. Marino, su cui godeva il giuspatronato. Però anche questa fu ben presto chiusa, per la riduzione delle Parrocchie imposte dal governo italico, ed avvenuta prima ancora della promulgazione del Decreto arcivescovile del Card. arciv. Carlo Oppizzoni, che costretto ad ottemperare alle imposizioni della autorità civile usurpatrice, in data 22 giugno 1805, ridusse a 16 il numero delle Parrocchie della città, da 53 che ve ne erano. La statua allora, attesa la grande venerazione da cui era circondata per lo zelo dei Frati che ne avevano sempre coltivato con profonda fede e intenso amore la devozione, fu conservata al culto trasferendola a S. Petronio, dove fu accolta con vera pietà dal Clero locale. Fu allora esposta all'altare di S. Rocco, sito nella navata sinistra, Cappella ottava. Però in vista del molto concorso dei devoti che là si recavano in pie visite, non fu quello reputato luogo adatto, trovandosi la cappella proprio di fronte a quella del SS. Sacramento, a cui di conseguenza si voltava la schiena; e si pensò di togliere quell'inconveniente ponendola in altro altare».
In legno policromo, si tratta di una delle prime opere rimaste dello scultore bolognese Agostino Corsini (1688-1772), eseguita nel 1734 (per altri nel 1725) per la cappella Palmieri di San Francesco, giudicata dal bolognese storico dell'arte Eugenio Riccomini «lavoro di buon artigianato e di iconografia consueta».

Le notizie relative alla statua sono tratte dalla voce "Corsini, Agostino" curata da Paola Ceschi Lavagetto per il Dizionario Biografico degli Italiani (pagina di www.treccani.it; altre notizie alla pagina di collezioni.genusbononiae.it; per la diversa datazione si vedano la pagina di www.basilicadisanpetronio.org, da cui è tratta l'immagine qui pubblicata, e la pagina di www.bibliotecasalaborsa.it)

A lato la pianta della chiesa di San Francesco prima dell'intervento di restauro iniziato alla fine del secolo XIX, con indicata la posizione della "Cappella dell'Immacolata Concezione de Palmieri"

25 novembre 2018

Lo sposalizio mistico di santa Caterina e i santi Antonio di Padova e Giovannino del Bugiardini (1525 ca) già in San Francesco

Giuliano Bugiardini
Sposalizio mistico di santa Caterina e santi Antonio di Padova e Giovannino

1525 ca
Tavola, cm 208 x 178
Bologna, Pinacoteca Nazionale (sala 15)

La pala ornava l'altare della sesta cappella absidale dedicata prima a santa Caterina e poi a sant'Antonio di Padova, detta degli Albergati in quanto ceduta nel 1321 ad un certo Marco Albergati, come ricordava una lapide lì murata e ora al Museo civico (cf Garani 122). L'opera fu rimossa nel 1796 a seguito delle soppressioni napoleoniche e la destinazione della chiesa ad uso militare.
Si tratta probabilmente della più tarda tra le opere di Giuliano Bugiardini (1475-1554) per Bologna, importante per l'evoluzione in senso "monumentale" del locale classicismo raffaellesco fra la terza e la quarta decade. L'artista fiorentino portò a Bologna un'interessante sintesi di quanto si andava sperimentando in quegli anni a Firenze e a Roma: la spazialità dinamica, i toni vividi e chiari, le diffuse ombreggiature.



Le notizie relative al dipinto sono in gran parte tratte del depliant La bellezza dell'arte e i francescani. Itinerario tra i dipinti della Pinacoteca Nazionale di Bologna provenienti dalla Basilica di San Francesco, 15 settembre-15 ottobre 2018 realizzato in occasione della X edizione del Festival Francescano svoltosi nella città felsinea dal 28 al 30 settembre 2018, sul tema "tu sei bellezza" e anche dalla scheda alla pagina di www.pinacotecabologna.beniculturali.it da cui è tratta l'immagine pubblicata.

A lato la pianta della chiesa di San Francesco prima dell'intervento di restauro iniziato alla fine del secolo XIX, con indicata la posizione della "Cappella di Sant'Antonio degli Albergati" (VI)

24 novembre 2018

La collezione di ritratti di musicisti del padre Giambattista Martini


Intorno al 1770 il nostro padre Giambattista Martini (1706-1784) avviò nel convento di San Francesco in Bologna una raccolta di circa 300 ritratti di musicisti, contemporanei e del passato. Le notizie sulla formazione di questa collezione non sono molte. Dal prezioso carteggio di lettere che Padre Martini tenne con diversi personaggi dell'epoca, musicisti che erano stati suoi allievi a Bologna, membri dell'Accademia Filarmonica, teorici di musica, compositori, nobili, illustri intellettuali, maestri di Cappella, custodi di conventi francescani, si è evidenziata una complessa rete di informatori e di intermediari che si occupavano di reperire i ritratti da lui desiderati.
Molti di questi (Aaron, Artusi, Banchieri, Bottrigari, Frescobaldi, Merulo, Tartini, Willaert, Zarlino) furono commissionati direttamente dal Martini agli artisti, i quali traevano le sembianze del musicista da incisioni dell'epoca. In effetti egli non era interessato al valore artistico dei dipinti, quanto ad una più o meno plausibile rassomiglianza col modello, in consonanza con l'interesse del suo secolo per la lettura fisionomica dei volti e con l'intento di dare testimonianza iconografica di personaggi legati da un unico comune denominatore - la musica - e dal fatto di avere rapporti più o meno diretti con la sua Biblioteca.
Ciò non toglie che nella collezione siano presenti molti quadri di pittori celebri, come Angelo Crescimbeni, autore di numerosi ritratti tra cui quello dello stesso religioso o Thomas Gainsborough, con il ritratto di Johann Christian Bach.
Sembra inoltre che il prestigio di Padre Martini, considerato come il più profondo conoscitore europeo dell'arte musicale, era tale che per un musicista dell'epoca era importante entrare a far parte della sua galleria di ritratti, perché ciò equivaleva ad una sorta di riconoscimento di merito: questo il caso dei ritratti richiesti a Rameau, Jommelli, Gluck e Mozart.
La quadreria rimase nel Convento di San Francesco e anche dopo la morte di Martini si arricchì di numerosi altri ritratti (tra cui Farinelli di Corrado Giaquinto, Rossini, Bellini, Donizetti, Wagner, Verdi), sopravvivendo alle confische napoleoniche grazie al suo successore padre Stanislao Mattei. La collezione entrò poi a far parte del patrimonio del Liceo filarmonico inaugurato nel 1804 nei locali dell’ex convento di San Giacomo dove nel 1816 confluì il resto della raccolta martiniana.


Notizie tratte dalla pagina di www.museibologna.it da cui a possibile accesso al catalogo online della collezione. Il ritratto del padre Martini di cui qui è pubblicato un particolare (tratto dalla pagina di www.ibcmultimedia.it) è conservato presso il Museo della Musica di Bologna.

Bibliografia

  • Lorenzo Bianconi [et al.], I ritratti del Museo della Musica di Bologna da padre Martini al Liceo musicale, Firenze, Olschki, 2018, XVII, 681 p. : ill. (Historiae musicae cultores, 129)

20 novembre 2018

Incipit: Come il santo frate Bernardo d'Ascesi fu da santo Francesco mandato a Bologna, e là pres'egli luogo

Da qualche parte bisogna pur iniziare, e allora perché non iniziare proprio... dall'inizio. Anzi, ancora prima, da quando nessuno poteva immaginare quello che sarebbe accaduto, il verso che le cose avrebbero preso.
Siamo, con ogni probabilità nel 1211, «Frate Bernardo porta con sé la Regola, cioè quel piccolo abbozzo che i primi dodici compagni avevano sottoposto all’approvazione di Innocenzo III. La profondità evangelica della forma di vita francescana viene rilevata con ammirazione proprio nel centro universitario di Bologna. La vita in semplicità, povertà e umiltà diventa provocazione evangelica negli uomini di cultura» (I Fioretti di san Francesco, riveduti su un nuovo codice da Benvenuto Bughetti [...], presentazione di Felice Accrocca, note di Feliciano Olgiati e Daniele Solvi, in: Fonti francescane, 3. ed. rivista e aggiornata, Editrici francescane 2011 [= FF], p. 1141, nota 17).


Come il santo frate Bernardo d'Ascesi
fu da santo Francesco mandato a Bologna, 
e là pres'egli luogo

(I Fioretti di san Francesco V: FF 1833)

[…] Addivenne, nel principio della Religione, che santo Francesco mandò frate Bernardo a Bologna, acciò che ivi, secondo la grazia che Iddio gli avea data, facesse frutto a Dio, e frate Bernardo facendosi il segno della santissima croce per la santa obbidienza, si partì e pervenne a Bologna. E vedendolo li fanciulli in abito disusato e vile, sì gli faceano molti scherni e molte ingiurie, come si farebbe a uno pazzo; e frate Bernardo pazientemente e allegramente sostenea ogni cosa per amore di Cristo. Anzi, acciò che meglio e' fusse istraziato, si puose istudiosamente nella piazza della città; onde sedendo ivi sì gli si radunarono d'intorno molti fanciulli e uomini, e chi gli tirava il cappuccio dirietro e chi dinanzi, chi gli gittava polvere e chi pietre, chi 'l sospingeva di qua e chi di là: e frate Bernardo, sempre d'uno modo e d'una pazienza, col volto lieto, non si rammaricava e non si mutava. E per più dì ritornò a quello medesimo luogo, pure per sostenere simiglianti cose. E però che la pazienza è opera di perfezione e pruova di virtù, uno savio dottore di legge, vedendo e considerando tanta costanza e virtù di frate Bernardo non potersi turbare in tanti dì per niuna molestia o ingiuria, disse fra se medesimo: Impossibile è che costui non sia santo uomo". E appressandosi a lui sì 'l domandò: «Chi sei tu, e perché se' venuto qua?». E frate Bernardo per risposta si mise la mano in seno e trasse fuori la regola di santo Francesco, e diegliela che la leggesse. E letta ch'e' l'ebbe, considerando il suo altissimo stato di perfezione, con grandissimo stupore e ammirazione si rivolse a' compagni e disse: «Veramente questo è il più alto stato di religione ch'io udissi mai; e però costui co' suoi compagni sono de' più santi uomini di questo mondo, e fa grandissimo peccato chi gli fa ingiuria, il quale sì si vorrebbe sommamente onorare, conciò sia cosa ch'e' sia amico di Dio». E disse a frate Bernardo: «Se voi volete prendere luogo nel quale voi poteste acconciamente servire a Dio, io per salute dell'anima mia volentieri vel darei». Rispuose frate Bernardo: «Signore, io credo che questo v'abbia ispirato il nostro Signore Gesù Cristo, e però la vostra profferta io l'accetto volentieri a onore di Cristo». Allora il detto giudice con grande allegrezza e carità menò frate Bernardo a casa sua; e poi gli diede il luogo promesso, e tutto l'acconciò e compiette alle sue ispese; e d'allora innanzi diventò padre e speziale difensore di frate Bernardo e de' suoi compagni.
E frate Bernardo, per la sua santa conversazione, cominciò ad essere molto onorato dalle genti, in tanto che beato si tenea chi 'l potea toccare o vedere. Ma egli come vero discepolo di Cristo e dello umile Francesco, temendo che l'onore del mondo non impedisse la pace e la salute dell'anima sua, sì si partì un dì e tornò a santo Francesco e dissegli così: «Padre, il luogo è preso nella città di Bologna; mandavi de' frati che 'l mantegnino e che vi stieno, però ch'io non vi facevo più guadagno, anzi per lo troppo onore che mi vi era fatto, io temo non perdessi più ch'io non vi guadagnerei». Allora santo Francesco udendo ogni cosa per ordine, siccome Iddio avea adoperato per frate Bernardo, ringraziò Iddio, il quale così incominciava a dilatare i poverelli discepoli della croce; e allora mandò de' suoi compagni a Bologna e in Lombardia, li quali presono di molti luoghi in diverse partì.

A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.


L'illustrazione qui pubblicata è un acquerello di fr. Ephrem Maria de Kcynia OFMCap. (1894-1970) per l'edizione Les Petites Fleurs des S. François d’Assisi, Malines, s.e., 1925, tratta da: I Fioretti di San Francesco. Esposizione delle più belle edizioni illustrate moderne. 19 giugno-31 ottobre 2010 Museo del Tesoro della Basilica di San Francesco in Assisi, catalogo della mostra a cura di fra Carlo Bottero e Ezio Genovesi, Assisi, NCT Global Media, 2010, pp. 84-85, n. 20.