Il bel San Francesco di Bologna
Uno blog per conoscere e gustare almeno un po' della bellezza che in questo luogo si è manifestata e si manifesta ancora
11 ottobre 2022
La "Madonna del ricamo" di Vitale da Bologna già in San Francesco
24 marzo 2022
La predica (o, forse meglio, il "concione") di san Francesco a Bologna del 15 agosto 1222
In quello stesso anno, il giorno dell’Assunzione della Madre di Dio, mentre mi trovavo allo Studio di Bologna, vidi san Francesco che predicava nella piazza antistante il Palazzo Comunale, dove era convenuta quasi tutta la cittadinanza. L’inizio del suo sermone fu questo: «gli angeli, gli uomini, i demoni»; di questi tre spiriti razionali predicò così bene e con tanto discernimento, da riempire molti dotti presenti di ammirazione per il sermone di un uomo incolto; né peraltro egli seguiva le regole di chi predicasse, ma quasi quelle di chi tenesse un discorso. Invero tutta la sostanza delle sue parole era rivolta ad estinguere le inimicizie e a ripristinare i patti di pace. Il suo abito era sordido, la sua persona spregevole, il suo aspetto indecoroso; ma a tal punto Dio conferì efficacia alle sue parole, che molte famiglie nobiliari, tra le quali l’inarrestabile furore di antiche inimicizie aveva imperversato con grande spargimento di sangue, vennero ricondotte a consigli di pace. Così grande era poi la reverenza e la devozione nei suoi confronti, che uomini e donne si gettavano in massa su di lui, cercando ansiosamente di toccare i lembi della sua veste o di portar via un pezzo dei suoi panni miserabili.
Presente a questa predica sembra essere stato anche Federico Visconti, arcivescovo di Pisa, che così si espresse in un sermone pronunciato nel 1265: «Veramente beati coloro che videro lo stesso santo, cioè Francesco, come l’abbiamo visto anche noi per grazia di Dio e l’abbiamo toccato con la nostra mano nella piazza comunale di Bologna, in mezzo ad una grande calca di uomini…». Un riferimento a questo avvenimento sembra di poterlo trovare anche in altre fonti come ad esempio il capitolo XXVIII dei Fioretti, dal titolo: "Come santo Francesco convertì a Bologna due scolari, e fecionsi frati; e poi all’uno di loro levò una grande tentazione da dosso".
Giugnendo una volta santo Francesco alla città di Bologna, tutto il popolo della città correa per vederlo; ed era sì grande la calca, che la gente a grande pena potea giugnere alla piazza. Ed essendo tutta la piazza piena d’uomini e di donne e di scolari, e santo Francesco si leva suso nel mezzo del luogo, alto, e comincia a predicare quello che lo Spirito Santo gli toccava. E predicava sì maravigliosamente, che parea piuttosto che predicasse agnolo che uomo, e pareano le sue parole celestiali a modo che saette acute, le quali trappassavano sì il cuore di coloro che lo udivano, che in quella predica grande moltitudine di uomini e di donne si convertirono a penitenza. Fra li quali sì furono due nobili studianti della Marca; i quali due per la detta predica toccati nel cuore dalla divina ispirazione, vennono a santo Francesco, dicendo ch’al tutto voleano abbandonare il mondo ed essere de’ suoi frati [...].
A proposito del modo di parlare di Francesco di cui la testimonianza di Tommaso da Spalato, così scrive Felice Accrocca in un articolo pubblicato su www.sanfrancescopatronoditalia.it (qui):
Preziosissima si rivela poi la notazione riguardo allo stile della predicazione di Francesco, che lasciava scorgere in lui un oratore politico (contionator), più che un predicatore vero e proprio. La contio era un’assemblea di popolo, il contionator quello che oggi si direbbe un comiziante, il quale — secondo quanto insegnava un maestro del tempo, e cioè Boncompagno da Signa nella sua Rethorica novissima — doveva fortemente impressionare l’uditorio, non tanto e non solo con le parole, quanto anche con le proprie espressioni e i propri gesti. Secondo Erik Auerbach, tutto quello che Francesco fece, dal momento della conversione fino al giorno della sua morte, «fu una rappresentazione; e le sue rappresentazioni erano di tale forza che egli trascinava con sé tutti coloro che lo vedevano o ne avevano soltanto notizia» (Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, 1956).
Attraverso queste sue “rappresentazioni ” egli riconobbe i suoi errori, come quando ad Assisi, dopo aver predicato sulla piazza antistante la chiesa di San Rufino, ammise che durante una quaresima (con tutta evidenza, nella quaresima detta di san Martino, che precedeva il Natale del Signore) aveva mangiato carne e brodo di carne. Ancora ricorrendo a tale espediente corresse i suoi frati, come quando a Greccio, nel giorno di Natale di un anno imprecisato, vedendo che la mensa comunitaria era stata riccamente imbandita, uscì di nascosto e si ripresentò alla porta travestito da mendicante, suscitando commozione e pentimento tra di essi.
«Quale idea geniale da palcoscenico — scrisse ancora Auerbach (ibidem, p. 177) — di prendere il cappello e il bastone di un povero e di mendicare presso dei mendicanti! Ci si può immaginare lo sbalordimento e la vergogna dei frati quando egli col piatto si siede sulla cenere dicendo: Adesso sto seduto come un vero frate minorita…». Francesco non seguiva dunque le regole tipiche del genere predicatorio, ma piuttosto manteneva una stretta aderenza al vissuto quotidiano. Non solo: la sua non era una predicazione esclusivamente verbale, bensì faceva ricorso a tutti gli strumenti che aveva a disposizione. Tra gli agiografi del Santo, è Tommaso da Celano a rivelare una spiccata attenzione alla corporeità di Francesco, alla sua capacità di predicare anche con il corpo, fino a fare di esso una lingua — come scrisse con espressione efficace —, accentuandone gli aspetti drammatici.
In fondo, è proprio questa fisicità, questa concretezza di uomo in carne ed ossa ad emergere dal racconto della predica che Francesco tenne davanti a Onorio III e ai cardinali. Il Celanese narra infatti che nel corso di quella — per molti aspetti delicatissima — predicazione, Francesco, non riuscendo più a contenersi per la gioia, mentre parlava muoveva i piedi, quasi stesse saltellando. L’agiografo, in questa circostanza, riferisce onestamente i fatti così come gli erano stati narrati: valga a testimoniarlo la descrizione del timore che pervase il cardinale Ugo di Ostia di fronte a un simile modo di fare. Tommaso precisa pure che il Santo si comportò in quella maniera «non come chi scherzi», ma perché ardeva del fuoco dell’amor divino, motivo per cui una tanto strana predicazione non provocò il riso degli ascoltatori, quanto piuttosto un pianto di dolore: una precisazione che mostra tutta la difficoltà incontrata dall’agiografo dinanzi all’insolito comportamento di Francesco e perciò ne rafforza l’autenticità. Nondimeno, quel che più colpisce nel racconto di quanto accadde a Bologna il 15 agosto del 1222, è il fatto che la persona di Francesco, seppur «spregevole» e «senza bellezza», per la forza che Dio impresse alle sue parole, fece sì «che molte famiglie signorili», in guerra tra loro, fossero «piegate a consigli di pace». Troverebbe eguale ascolto, oggi, la sua parola, quando a prevalere sembra essere piuttosto una voglia sfacciata di mostrare i muscoli, una tendenza a escludere piuttosto che a includere, un bisogno quasi insopprimibile di belligeranza?
Alla predica di san Francesco a Bologna si è dedicato anche Dario Fo ne Lu santo jullare Francesco del 1999 di cui si legge: «Il Nobel, con l'aiuto di preziose fonti storiche dell'epoca, ha ricostruito la 'concione giullaresca' tenuta da San Francesco davanti ai bolognesi in un lontano giorno d'estate del 1200. Rielaborando i discorsi di San Francesco Fo da' vita ad una sorta di esilarante e grottesco 'grammelot' italico medievale, che mostra in tutta la sua efficacia la capacita' comunicativa del 'giullare' e santo Francesco» (qui). Sue le illustrazioni pubblicate in questa pagina.
14 agosto 2019
La Seliciata di San Francesco in un disegno di Gaetano Ferri, incisa da Francesco Franceschini e stampata nel 1824
8 luglio 2019
La facciata di San Francesco in una incisione di Pio Panfili anteriore al 1784
8 febbraio 2019
I corali di San Francesco al Museo Civico Medievale di Bologna
Ms 526, C104v |
Fin dal Duecento l’illustrazione dei manoscritti ha costituito uno strumento espressivo essenziale per l’Ordine dei Frati Minori. Grazie alle scelte iconografiche e tematiche codificate dall'Ordine, le immagini dei libri francescani rappresentarono un elemento fondamentale per esaltare la figura del santo fondatore, offrendo una lettura in chiave strettamente cristologica della sua vita, che legittimava il ruolo di rinnovamento della Chiesa operato dalla congregazione francescana.Infatti, sfogliando le pagine di Antifonari e Graduali del XIII secolo spesso ricorrono le raffigurazioni della Predica agli uccelli e delle Stimmate come appare nel manoscritto 526, qui esposto insieme ad altri graduali (mss. 525, 527), realizzati intorno al 1280-85 per il convento di San Francesco a Bologna. A decorarli fu chiamato uno dei protagonisti assoluti della miniatura bolognese della seconda metà del Duecento, il cosiddetto Maestro della Bibbia di Gerona, così chiamato per aver decorato la celebre Bibbia oggi conservata presso la biblioteca capitolare della città catalana.
Ms 526, F 84.2v
Se nell'episodio della Predica agli uccelli gli artisti potevano indugiare in ricerche di naturalismo espressivo, in quello delle Stimmate era possibile invece sperimentare effetti di grande drammaticità, come documenta l’analoga figurazione del graduale ms. 526, felice connubio tra le più sofisticate sperimentazioni pittoriche della tradizione bizantina e la veemenza espressiva di certa pittura toscana di questi anni.Nella serie di Antifonari (mss. 528, 529, 533), realizzata nei primissimi anni del Trecento a compimento del precedente ciclo di Graduali, il linguaggio ancora aulico del Maestro della Bibbia di Gerona rivive in talune figurazioni seguendo connotazioni più moderne che già lasciano presagire una conoscenza dei fatti nuovi della cultura giottesca (ciclo di affreschi della Basilica Superiore di Assisi), la cui diffusione dovette seguire inizialmente canali privilegiati all'interno dello stesso Ordine.
Ms 526, C98.2r
Tra le figure che si pongono a maggior confronto con l’artista fiorentino va annoverato Neri da Rimini che realizzò nel 1314, assieme al copista Fra Bonfantino da Bologna, l’antifonario ms. 540 destinato al convento francescano della città romagnola. Risale invece alla metà circa del XV secolo la serie di corali francescani (mss. 549 – 551, 553) che in parte recano entro alcuni capilettera calligrafici la firma di Guiniforte da Vimercate e la data 1449. La decorazione di questo ciclo, risultato della collaborazione di maestranze di estrazione lombarda e locale, venne coordinata dal bolognese Giovanni di Antonio il quale si riservò personalmente la realizzazione di alcune parti (ms. 551).Accanto a lui sono all'opera personalità bolognesi dalla parlata più corsiva (mss. 550, 551, 553), ma anche il Maestro del 1446 (ms. 549) considerato uno dei più abili interpreti dell’ultima stagione della miniatura tardogotica cittadina che ebbe proprio in questa serie liturgica francescana una delle sue più tardive manifestazioni.
Ms 526, F62c C.N.B.
26 gennaio 2019
L'incoronazione della statua dell'Immacolata di San Francesco per mano del Cardinale Giacomo Lercaro il 13 maggio 1962
La bolla del Capitolo Vaticano del 25 marzo 1962 |
Si fece istanza al Capitolo della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano di poter incoronare l'effige dell'Immacolata in nomine ipsius Capituli per mano dell'Arcivescovo metropolita di Bologna il Cardinale Giacomo Lercaro.
«Il Cardinale Giacomo Lercaro Arcivescovo di Bologna, a nome del Capitolo Vaticano, ha posto sulla fronte luminosa dell'Immacolata venerata in San Francesco una corona d'oro, gemmata e semplice com'è la fede generosa del popolo bolognese.La solenne cerimonia votiva era stata preparata da un fervido Settenario e preceduta dalla Messa Pontificale del Porporato, in tutto il decoro liturgico e cantata dalla cappella salesiana del Sacro Cuore, diretta egregiamente dal maestro don Primo Chinellato. Partecipavano alle funzioni pontificali, anche pomeridiane, i vescovi di Guastalla Mons. Zampieri e di Triveneto Mons. Crivellari, O.F.M. fratello del predicatore del Settenario P. Fiorenzo, O.F.M.Conv.
L'ingresso in Basilica del Cardinale Arcivescovo
Nell'ora dell'incoronazione si ravvivava nel Cardinale il felice ricordo del giorno culminante l'Anno Mariano 1954, quando circondava di una corona di dodici stelle l'ispirata bronza statua dell'Immacolata, che domina la vasta piazza, ch'era detta Seliciata di San Francesco, quando venne eretta nel 1669, su disegno di Guido Reni.
La corona portata da un "fratino"
Segnava sin d'allora la vittoria della Comunità, provata per il culto prematuro dei severi provvedimenti, a carico di eminenti religiosi, e dell'accademia che ne cantava per secoli le glorie. Già prima della metà del 1400 l'università bolognese, che aveva presso il tempio le sedi della medicina delle arti e del diritto, si recava ogni anno in San Francesco coi reggenti e consiglieri per la celebrazione della festa dell'Immacolata Concezione.
La bella statua oggi decorata della corona aurea è la seconda che la Comunità Francescana Conventuale commise nel 1830 al valente statuario Prudenzio Piccioli, quando poté ricostituirsi, dopo la soppressione napoleonica, presso la chiesa di San Gregorio in via Nazario Sauro: e poi fu trasferita in San Francesco nel 1841, quando la Basilica fu riaperta al culto.
Nel 1868 la seconda soppressione italica però la cacciò nuovamente, il convento venne requisito e la chiesa chiusa al culto. La statua fu portata come inutile alla Certosa, fra le cose morte e superate... Ma passò il periodo più radicale del laicismo contro gl'istituti religiosi, e venne il giorno del ritorno della candida Regina dei Minori, nella loro chiesa, nel 1888 mentre l'architetto Rubbiani ne iniziava il ritorno al suo primiero splendore originale: si conchiudeva così felicemente la sorte della seconda statua. La prima, bellissima opera d'arte della metà del settecento, fatta dal memorabile p. Sorazzi, era già sistemata dopo la prima soppressione in S. Petronio: accolta con sommo onore dal capitolo della perinsigne basilica, dopo breve sua permanenza in S. Martino, quando anche essa veniva soppressa quale chiesa di Religiosi. Il Cardinal Arcivescovo Opizzoni le consacrò un altare in una cappella, poi divenuta sontuosissima, dove tutt'ora ha grande venerazione.
L'odierna incoronazione ha un ricordo storico in un'opera quattrocentesca: la pala dell'altar maggiore di Pierpaolo e Iacobello delle Masegne: del 1398. Questi celebri artisti sono pure gli autori dell'Iconostasi di San Marco in Venezia.
Nella loro pala, al centro di quaranta statuine marmoree, rappresentanti apostoli e santi francescani sta la Vergine in gloria, alla destra del Figlio. La corona che Le impone fu soprapposta al capo della Vergine nel 1600 dal predicatore di S. Petronio: padre Gerolamo dei Nobili Paolucci di Forlì, cappuccino, per iniziativa cittadina, al termine della predicazione quaresimale.Il culto della città per l'Immacolata Concezione è documentato dalla statua a Lei innalzata nella piazza adiacente alla basilica, come sublime e perenne affermazione di amore. La luce di mille lampade ne ha coronato in tutto questo settenario la vittoria del Suo candore sui vecchi e nuovi errori. Ben si è potuto cantare con la Chiesa: «Godi o Maria Vergine perché tutte le eresie Tu hai vinto nel mondo universo». Ai vicini e ai lontani i due campanili del tre e quattrocento, dalle sue linee artistiche ingemmate di luci: e lo hanno diffuso dal piano ai colli con l'armoniosa eco dei suoi bronzi.
Su tutti i cittadini la commovente polifonia liturgica, e le esecuzioni classiche ha ricordato i grandi maestri fioriti in questo insigne cenobio: il Padre Martini, Maestro di Mozart e il P. Mattei, di Donizzetti, che hanno esaltato l'Immacolata, come i grandi teologi, loro confratelli.Tutto dava un senso di nostalgia alla vera musica, alle sue immortali armonie, e al vero culto dell'Immacolata Regina che ha fatto sentore in questi giorni un potente invito ad essere partecipi e collaboratori delle sue novelle Vittorie.
Degna corona pomeridiana della solennità è stato il congresso Mariano, che ha rivisto la basilica stipata della fiorente Milizia, e sotto le decine di vessilli ha rinnovato il giuramento di fedeltà e la promessa di attività alla sua coronata Regina.
All'ardente parola del Predicatore è seguita quella del presidente dell'Assemblea Mons. Angelo Zampieri.
Le acclamazioni ed i propositi, animati dal direttore regionale della milizia p. Luigi Faccenda, hanno suggellato il convegno, coronato infine dalla trina benedizione eucaristica di Mons. Zampieri, Vescovo di Guastalla.
Poi tutto il popolo si è riversato nel chiostro francescano ad ammirarvi la ricca mostra mariana e missionaria, facendo acquisti e offrendo il nome per generosa collaborazione».
20 gennaio 2019
La statua dell'Immacolata di Prudenzio Piccioli (1848 ca) in San Francesco
In occasione del restauro e parziale trasformazione del 1957 ad opera dello scultore scultore e plastificatore faentino Gaetano (Tano) Dal Monte (1916-2006), si ruppe la testa in gesso che fu rifatta in cartapesta (cf. lettera al p. Stanislao Rossi del 7 febbraio 1957). La statua fu solennemente incoronata dal Cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo metropolita di Bologna, il 13 maggio 1962.
La statua prima dell'intervento del 1956 |
19 gennaio 2019
La Seliciata di San Francesco in una incisione di Pio Panfili anteriore al 1806
Il Gabinetto disegni e stampe dell'Archiginnasio di Bologna conserva una raccolta di disegni e stampe di Pio Panfili (1723-1812) tra cui una veduta della cosiddetta seliciata di San Francesco, l'attuale Piazza Marcello Malpighi, col fianco orientale del complesso conventuale, l'abside e i campanili della chiesa e, sulla sinistra, la colonna dell'Immacolata.
16 dicembre 2018
Una veduta dell'abside di San Francesco dalla centralissima Piazza Maggiore di Bologna
Fig. 02 |
11 dicembre 2018
Tracce di un antico affresco alla base del campanile grande di San Francesco
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