11 ottobre 2022

La "Madonna del ricamo" di Vitale da Bologna già in San Francesco

Questo affresco, che ripropone l’iconografia della "Madonna operosa" colta nel momento di ricamare il tessuto posto sulle sue ginocchia, databile tra il 1330 ed il 1340, è stato attribuito a Vitale da Bologna. L'immagine era originariamente posta su uno dei pilastri dell’abside della di San Francesco dove, ritenuta miracolosa, era punto di riferimento significativo per la comunità cristiana. 
All’arrivo delle armate napoleoniche nel 1801 la chiesa venne profanata: i frati scacciati e le opere requisite. La famiglia Beccadelli, che aveva con quest’immagine un rapporto personale in virtù di una grazia che la Madonna avrebbe concesso alla loro figlia, chiese e ottenne dagli uffici doganali a cui il complesso minoritico era stato destinato, di poter acquistare la “loro” Madonna, impegnandosi a sostenere anche le spese per il ripristino del pilastro dopo lo strappo dell’affresco. Si attivarono così per staccare il pezzo di muro con l’immagine mariana per trasferirla nella loro casa e poi il 18 marzo del 1801 nel loro Casino di villeggiatura a Pradalbino.
Relegata in campagna, la Madonna venne dimenticata dalla storia. Riemerse dall’oblio solo nel 1978, nell’oratorio in cui era stata collocata oramai abbandonato e pericolante. Comincia per lei una nuova stagione fatta di restauri e studi fino a giungere, grazie a Rosa D’Amico, all’identificazione dell’autore: Vitale da Bologna. 
Dopo il restauro l’opera è stata ospitata per quasi trent’anni in una delle sale della Pinacoteca Nazionale. Nel 2008 Maria Grazia Cuccoli, erede della famiglia Beccadelli, ha donato l’opera alla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna che ha organizzato una mostra a Casa Saraceni per esporre e presentare al pubblico l’affresco dopo l’intervento di restauro. E così la Madonna del ricamo che, negli anni terribili della guerra nei Balcani, Rosa D’Amico ha eletto a ponte tra Oriente e Occidente, a tramite culturale per esplorare un tema iconografico comune alle “due sponde dell’Adriatico”, è approdata al Museo della Storia di Bologna, luogo per eccellenza di dialogo interculturale, che ridà valore e pregnanza al senso originario dell’immagine in quanto riferimento identitario per la propria comunità cittadina.

Le notizie e l'immagine sono tratte dalla pagina di genusbononiaeblog.it. Altre notizie alla pagina di www.noteartistiche.it e nel catalogo della mostra del 2008: Franco Faranda, La Madonna del ricamo di Vitale da Bologna, Bologna, Bononia university press, 2008.

24 marzo 2022

La predica (o, forse meglio, il "concione") di san Francesco a Bologna del 15 agosto 1222


Ricorre quest'anno l'VIII centenario di un fatto che rimane nelle cronache per la testimonianza di Tommaso Arcidiacono, detto "da Spalato" (1200/1201-1268), che fu sacerdote, storico e cronachista dalmata. Nella sua Historia, finita nel 1266, così riguardo all'anno 1222 scrive:

In quello stesso anno, il giorno dell’Assunzione della Madre di Dio, mentre mi trovavo allo Studio di Bologna, vidi san Francesco che predicava nella piazza antistante il Palazzo Comunale, dove era convenuta quasi tutta la cittadinanza. L’inizio del suo sermone fu questo: «gli angeli, gli uomini, i demoni»; di questi tre spiriti razionali predicò così bene e con tanto discernimento, da riempire molti dotti presenti di ammirazione per il sermone di un uomo incolto; né peraltro egli seguiva le regole di chi predicasse, ma quasi quelle di chi tenesse un discorso. Invero tutta la sostanza delle sue parole era rivolta ad estinguere le inimicizie e a ripristinare i patti di pace. Il suo abito era sordido, la sua persona spregevole, il suo aspetto indecoroso; ma a tal punto Dio conferì efficacia alle sue parole, che molte famiglie nobiliari, tra le quali l’inarrestabile furore di antiche inimicizie aveva imperversato con grande spargimento di sangue, vennero ricondotte a consigli di pace. Così grande era poi la reverenza e la devozione nei suoi confronti, che uomini e donne si gettavano in massa su di lui, cercando ansiosamente di toccare i lembi della sua veste o di portar via un pezzo dei suoi panni miserabili.

Presente a questa predica sembra essere stato anche Federico Visconti, arcivescovo di Pisa, che così si espresse in un sermone pronunciato nel 1265: «Veramente beati coloro che videro lo stesso santo, cioè Francesco, come l’abbiamo visto anche noi per grazia di Dio e l’abbiamo toccato con la nostra mano nella piazza comunale di Bologna, in mezzo ad una grande calca di uomini…». Un riferimento a questo avvenimento sembra di poterlo trovare anche in altre fonti come ad esempio il capitolo XXVIII dei Fioretti, dal titolo: "Come santo Francesco convertì a Bologna due scolari, e fecionsi frati; e poi all’uno di loro levò una grande tentazione da dosso". 

Giugnendo una volta santo Francesco alla città di Bologna, tutto il popolo della città correa per vederlo; ed era sì grande la calca, che la gente a grande pena potea giugnere alla piazza. Ed essendo tutta la piazza piena d’uomini e di donne e di scolari, e santo Francesco si leva suso nel mezzo del luogo, alto, e comincia a predicare quello che lo Spirito Santo gli toccava. E predicava sì maravigliosamente, che parea piuttosto che predicasse agnolo che uomo, e pareano le sue parole celestiali a modo che saette acute, le quali trappassavano sì il cuore di coloro che lo udivano, che in quella predica grande moltitudine di uomini e di donne si convertirono a penitenza. Fra li quali sì furono due nobili studianti della Marca; i quali due per la detta predica toccati nel cuore dalla divina ispirazione, vennono a santo Francesco, dicendo ch’al tutto voleano abbandonare il mondo ed essere de’ suoi frati [...].

A proposito del modo di parlare di Francesco di cui la testimonianza di Tommaso da Spalato, così scrive Felice Accrocca in un articolo pubblicato su www.sanfrancescopatronoditalia.it (qui):

Preziosissima si rivela poi la notazione riguardo allo stile della predicazione di Francesco, che lasciava scorgere in lui un oratore politico (contionator), più che un predicatore vero e proprio. La contio era un’assemblea di popolo, il contionator quello che oggi si direbbe un comiziante, il quale — secondo quanto insegnava un maestro del tempo, e cioè Boncompagno da Signa nella sua Rethorica novissima — doveva fortemente impressionare l’uditorio, non tanto e non solo con le parole, quanto anche con le proprie espressioni e i propri gesti. Secondo Erik Auerbach, tutto quello che Francesco fece, dal momento della conversione fino al giorno della sua morte, «fu una rappresentazione; e le sue rappresentazioni erano di tale forza che egli trascinava con sé tutti coloro che lo vedevano o ne avevano soltanto notizia» (Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, 1956).

Attraverso queste sue “rappresentazioni ” egli riconobbe i suoi errori, come quando ad Assisi, dopo aver predicato sulla piazza antistante la chiesa di San Rufino, ammise che durante una quaresima (con tutta evidenza, nella quaresima detta di san Martino, che precedeva il Natale del Signore) aveva mangiato carne e brodo di carne. Ancora ricorrendo a tale espediente corresse i suoi frati, come quando a Greccio, nel giorno di Natale di un anno imprecisato, vedendo che la mensa comunitaria era stata riccamente imbandita, uscì di nascosto e si ripresentò alla porta travestito da mendicante, suscitando commozione e pentimento tra di essi.

«Quale idea geniale da palcoscenico — scrisse ancora Auerbach (ibidem, p. 177) — di prendere il cappello e il bastone di un povero e di mendicare presso dei mendicanti! Ci si può immaginare lo sbalordimento e la vergogna dei frati quando egli col piatto si siede sulla cenere dicendo: Adesso sto seduto come un vero frate minorita…». Francesco non seguiva dunque le regole tipiche del genere predicatorio, ma piuttosto manteneva una stretta aderenza al vissuto quotidiano. Non solo: la sua non era una predicazione esclusivamente verbale, bensì faceva ricorso a tutti gli strumenti che aveva a disposizione. Tra gli agiografi del Santo, è Tommaso da Celano a rivelare una spiccata attenzione alla corporeità di Francesco, alla sua capacità di predicare anche con il corpo, fino a fare di esso una lingua — come scrisse con espressione efficace —, accentuandone gli aspetti drammatici.

In fondo, è proprio questa fisicità, questa concretezza di uomo in carne ed ossa ad emergere dal racconto della predica che Francesco tenne davanti a Onorio III e ai cardinali. Il Celanese narra infatti che nel corso di quella — per molti aspetti delicatissima — predicazione, Francesco, non riuscendo più a contenersi per la gioia, mentre parlava muoveva i piedi, quasi stesse saltellando. L’agiografo, in questa circostanza, riferisce onestamente i fatti così come gli erano stati narrati: valga a testimoniarlo la descrizione del timore che pervase il cardinale Ugo di Ostia di fronte a un simile modo di fare. Tommaso precisa pure che il Santo si comportò in quella maniera «non come chi scherzi», ma perché ardeva del fuoco dell’amor divino, motivo per cui una tanto strana predicazione non provocò il riso degli ascoltatori, quanto piuttosto un pianto di dolore: una precisazione che mostra tutta la difficoltà incontrata dall’agiografo dinanzi all’insolito comportamento di Francesco e perciò ne rafforza l’autenticità. Nondimeno, quel che più colpisce nel racconto di quanto accadde a Bologna il 15 agosto del 1222, è il fatto che la persona di Francesco, seppur «spregevole» e «senza bellezza», per la forza che Dio impresse alle sue parole, fece sì «che molte famiglie signorili», in guerra tra loro, fossero «piegate a consigli di pace». Troverebbe eguale ascolto, oggi, la sua parola, quando a prevalere sembra essere piuttosto una voglia sfacciata di mostrare i muscoli, una tendenza a escludere piuttosto che a includere, un bisogno quasi insopprimibile di belligeranza?

Alla predica di san Francesco a Bologna si è dedicato anche Dario Fo ne Lu santo jullare Francesco del 1999 di cui si legge: «Il Nobel, con l'aiuto di preziose fonti storiche dell'epoca, ha ricostruito la 'concione giullaresca' tenuta da San Francesco davanti ai bolognesi in un lontano giorno d'estate del 1200. Rielaborando i discorsi di San Francesco Fo da' vita ad una sorta di esilarante e grottesco 'grammelot' italico medievale, che mostra in tutta la sua efficacia la capacita' comunicativa del 'giullare' e santo Francesco» (qui). Sue le illustrazioni pubblicate in questa pagina.



 

14 agosto 2019

La Seliciata di San Francesco in un disegno di Gaetano Ferri, incisa da Francesco Franceschini e stampata nel 1824


L'acquaforte, incisa da Francesco Franceschini (1760 ca.-1835 ca.) su disegno di Gaetano Ferri (1797-1836), è la numero 37 della Collezione di cinquanta vedute della città e contorni di Bologna. Realizzate da valenti autori, le vedute furono pubblicate dal 1820 al 1828 dagli editori Camillo (1-33) e Pietro (34-50) Guglielmini con l'intento di illustrare le bellezze di Bologna. Le tavole uscirono periodicamente (l'Avviso del 20 giugno 1820 ne prometteva una al mese) e furono vendute sia singolarmente che riunite in numero vario, in fascicoli con copertina editoriale di cartoncino grigio-bleu, su cui era stampato il titolo e il prezzo. Infine si ebbe la raccolta completa (In Bologna, Si spacciano nella Calcografia dell'Editore Pietro Guglielmini nella Piazza della Pace detta del Pavaglione al prezzo di Scudi V, [1820-1828]) che ritrae Bologna come la vide Leopardi, che vi abitò tra il 1825 e il 1830 (cf. Antonio Brighetti, Bologna nelle sue stampe. Vedute e piante scenografiche dal Quattrocento all'Ottocento, Bologna, Garisenda antiquariato, 1979, pp. 128-141). 

Immagine dalla pagina di badigit.comune.bologna.it da cui è possibile accedere alla scheda dell'opera da cui sono tratte le notizie qui pubblicate; informazioni sull'incisore e sul disegnatore da www.storiaememoriadibologna.it

8 luglio 2019

La facciata di San Francesco in una incisione di Pio Panfili anteriore al 1784

Pio Panfili
Veduta della chiesa di S. Francesco de' PP. Min. Conventuali in Bologna
(ante 1784)
incisione all'acquaforte su carta, 145x181 mm
Bologna, Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio, GDS, Cartone Panfili c. 21

Il Gabinetto disegni e stampe dell'Archiginnasio di Bologna conserva una raccolta di disegni  e stampe di Pio Panfili (1723-1812) tra cui una veduta della facciata di San Francesco col fianco settentrionale e le sue adiacenze. 

Scheda dell'opera alla pagina di badigit.comune.bologna.it da cui è tratta l'immagine qui pubblicata.

8 febbraio 2019

I corali di San Francesco al Museo Civico Medievale di Bologna

Ms 526, C104v 
Con la soppressione napoleonica di fine 700 e la conseguente chiusura di chiesa e convento e dispersione dei religiosi, da San Francesco vennero portati via anche gli antichi corali, databili dal XIII al XV secolo, oggi conservati al Museo Civico Medievale di Bologna.
Nel settembre 2018 occasione della X edizione del Festival Francescano, il Museo ha inaugurato la mostra Lodi per ogni ora curata da Massimo Medica in collaborazione con Paolo Cova e Ilaria Negretti. Nel comunicato stampa diffuso per l'occasione, i corali venivano così presentati:

Ms 526, F 84.2v
Fin dal Duecento l’illustrazione dei manoscritti ha costituito uno strumento espressivo essenziale per l’Ordine dei Frati Minori. Grazie alle scelte iconografiche e tematiche codificate dall'Ordine, le immagini dei libri francescani rappresentarono un elemento fondamentale per esaltare la figura del santo fondatore, offrendo una lettura in chiave strettamente cristologica della sua vita, che legittimava il ruolo di rinnovamento della Chiesa operato dalla congregazione francescana.Infatti, sfogliando le pagine di Antifonari e Graduali del XIII secolo spesso ricorrono le raffigurazioni della Predica agli uccelli e delle Stimmate come appare nel manoscritto 526, qui esposto insieme ad altri graduali (mss. 525, 527), realizzati intorno al 1280-85 per il convento di San Francesco a Bologna. A decorarli fu chiamato uno dei protagonisti assoluti della miniatura bolognese della seconda metà del Duecento, il cosiddetto Maestro della Bibbia di Gerona, così chiamato per aver decorato la celebre Bibbia oggi conservata presso la biblioteca capitolare della città catalana.
Ms 526, C98.2r
Se nell'episodio della Predica agli uccelli gli artisti potevano indugiare in ricerche di naturalismo espressivo, in quello delle Stimmate era possibile invece sperimentare effetti di grande drammaticità, come documenta l’analoga figurazione del graduale ms. 526, felice connubio tra le più sofisticate sperimentazioni pittoriche della tradizione bizantina e la veemenza espressiva di certa pittura toscana di questi anni.Nella serie di Antifonari (mss. 528, 529, 533), realizzata nei primissimi anni del Trecento a compimento del precedente ciclo di Graduali, il linguaggio ancora aulico del Maestro della Bibbia di Gerona rivive in talune figurazioni seguendo connotazioni più moderne che già lasciano presagire una conoscenza dei fatti nuovi della cultura giottesca (ciclo di affreschi della Basilica Superiore di Assisi), la cui diffusione dovette seguire inizialmente canali privilegiati all'interno dello stesso Ordine. 
Ms 526,  F62c C.N.B.
Tra le figure che si pongono a maggior confronto con l’artista fiorentino va annoverato Neri da Rimini che realizzò nel 1314, assieme al copista Fra Bonfantino da Bologna, l’antifonario ms. 540 destinato al convento francescano della città romagnola. Risale invece alla metà circa del XV secolo la serie di corali francescani (mss. 549 – 551, 553) che in parte recano entro alcuni capilettera calligrafici la firma di Guiniforte da Vimercate e la data 1449. La decorazione di questo ciclo, risultato della collaborazione di maestranze di estrazione lombarda e locale, venne coordinata dal bolognese Giovanni di Antonio il quale si riservò personalmente la realizzazione di alcune parti (ms. 551).Accanto a lui sono all'opera personalità bolognesi dalla parlata più corsiva (mss. 550, 551, 553), ma anche il Maestro del 1446 (ms. 549) considerato uno dei più abili interpreti dell’ultima stagione della miniatura tardogotica cittadina che ebbe proprio in questa serie liturgica francescana una delle sue più tardive manifestazioni.


26 gennaio 2019

L'incoronazione della statua dell'Immacolata di San Francesco per mano del Cardinale Giacomo Lercaro il 13 maggio 1962


A ricordo della visita della statua della Madonna di Fatima in San Francesco il 29 giugno 1959, i frati pensarono di far incoronare la statua dell'Immacolata venerata nella stessa chiesa, opera dello scultore bolognese Prudenzio Piccioli eseguita intorno al 1848. Si ipotizzò la data dell'8 maggio dell'anno successivo prevedendo il restauro della cappella per cui fu richiesto l'intervento dell'architetto Giorgio Trebbi. Si rese comunque necessario rimandare l'evento e la nuova data fu fissata per il 13 maggio 1962, nel quarantacinquesimo anniversario della prima apparizione della Vergine ai tre pastorelli in località Cova da Iria (Conca di Iria), vicino alla cittadina portoghese di Fatima.
La bolla del Capitolo Vaticano del 25 marzo 1962
La celebrazione fu accuratamente preparata dall'allora Ministro provinciale p. Stanislao M. Rossi che con i confratelli della comunità bolognese, coinvolse insieme alla cittadinanza, i frati dell'intera provincia religiosa con gli alunni dei seminari serafici, le fraternità del Terz'Ordine Francescano e i gruppi della Milizia dell'Immacolata.
Si fece istanza al Capitolo della Basilica Papale di San Pietro in Vaticano di poter incoronare l'effige dell'Immacolata in nomine ipsius Capituli per mano dell'Arcivescovo metropolita di Bologna il Cardinale Giacomo Lercaro.
La corona d'oro, offerta dai frati, dai terziari francescani e dai militi dell'Immacolata di tutta la regione, fu realizzata dall'argentiere e cesellatore bolognese Enea Stefani, ha smalti azzurri e porta incastonate dodici gemme, che simboleggiano la celeste Gerusalemme di cui l'Immacolata è Regina (cf. Ap 21)

Così l'evento è raccontato a pagina 8 de L'Osservatore Romano del 18 maggio 1962
L'ingresso in Basilica del Cardinale Arcivescovo
«Il Cardinale Giacomo Lercaro Arcivescovo di Bologna, a nome del Capitolo Vaticano, ha posto sulla fronte luminosa dell'Immacolata venerata in San Francesco una corona d'oro, gemmata e semplice com'è la fede generosa del popolo bolognese.La solenne cerimonia votiva era stata preparata da un fervido Settenario e preceduta dalla Messa Pontificale del Porporato, in tutto il decoro liturgico e cantata dalla cappella salesiana del Sacro Cuore, diretta egregiamente dal maestro don Primo Chinellato. Partecipavano alle funzioni pontificali, anche pomeridiane, i vescovi di Guastalla Mons. Zampieri e di Triveneto Mons. Crivellari, O.F.M. fratello del predicatore del Settenario P. Fiorenzo, O.F.M.Conv.
La corona portata da un "fratino"
Nell'ora dell'incoronazione si ravvivava nel Cardinale il felice ricordo del giorno culminante l'Anno Mariano 1954, quando circondava di una corona di dodici stelle l'ispirata bronza statua dell'Immacolata, che domina la vasta piazza, ch'era detta Seliciata di San Francesco, quando venne eretta nel 1669, su disegno di Guido Reni.
Segnava sin d'allora la vittoria della Comunità, provata per il culto prematuro dei severi provvedimenti, a carico di eminenti religiosi, e dell'accademia che ne cantava per secoli le glorie. Già prima della metà del 1400 l'università bolognese, che aveva presso il tempio le sedi della medicina delle arti e del diritto, si recava ogni anno in San Francesco coi reggenti e consiglieri per la celebrazione della festa dell'Immacolata Concezione.
La bella statua oggi decorata della corona aurea è la seconda che la Comunità Francescana Conventuale commise nel 1830 al valente statuario Prudenzio Piccioli, quando poté ricostituirsi, dopo la soppressione napoleonica, presso la chiesa di San Gregorio in via Nazario Sauro: e poi fu trasferita in San Francesco nel 1841, quando la Basilica fu riaperta al culto.
Nel 1868 la seconda soppressione italica però la cacciò nuovamente, il convento venne requisito e la chiesa chiusa al culto. La statua fu portata come inutile alla Certosa, fra le cose morte e superate... Ma passò il periodo più radicale del laicismo contro gl'istituti religiosi, e venne il giorno del ritorno della candida Regina dei Minori, nella loro chiesa, nel 1888 mentre l'architetto Rubbiani ne iniziava il ritorno al suo primiero splendore originale: si conchiudeva così felicemente la sorte della seconda statua. La prima, bellissima opera d'arte della metà del settecento, fatta dal memorabile p. Sorazzi, era già sistemata dopo la prima soppressione in S. Petronio: accolta con sommo onore dal capitolo della perinsigne basilica, dopo breve sua permanenza in S. Martino, quando anche essa veniva soppressa quale chiesa di Religiosi. Il Cardinal Arcivescovo Opizzoni le consacrò un altare in una cappella, poi divenuta sontuosissima, dove tutt'ora ha grande venerazione.
L'odierna incoronazione ha un ricordo storico in un'opera quattrocentesca: la pala dell'altar maggiore di Pierpaolo e Iacobello delle Masegne: del 1398. Questi celebri artisti sono pure gli autori dell'Iconostasi di San Marco in Venezia.
Nella loro pala, al centro di quaranta statuine marmoree, rappresentanti apostoli e santi francescani sta la Vergine in gloria, alla destra del Figlio. La corona che Le impone fu soprapposta al capo della Vergine nel 1600 dal predicatore di S. Petronio: padre Gerolamo dei Nobili Paolucci di Forlì, cappuccino, per iniziativa cittadina, al termine della predicazione quaresimale.Il culto della città per l'Immacolata Concezione è documentato dalla statua a Lei innalzata nella piazza adiacente alla basilica, come sublime e perenne affermazione di amore. La luce di mille lampade ne ha coronato in tutto questo settenario la vittoria del Suo candore sui vecchi e nuovi errori. Ben si è potuto cantare con la Chiesa: «Godi o Maria Vergine perché tutte le eresie Tu hai vinto nel mondo universo». Ai vicini e ai lontani i due campanili del tre e quattrocento, dalle sue linee artistiche ingemmate di luci: e lo hanno diffuso dal piano ai colli con l'armoniosa eco dei suoi bronzi.
Su tutti i cittadini la commovente polifonia liturgica, e le esecuzioni classiche ha ricordato i grandi maestri fioriti in questo insigne cenobio: il Padre Martini, Maestro di Mozart e il P. Mattei, di Donizzetti, che hanno esaltato l'Immacolata, come i grandi teologi, loro confratelli.Tutto dava un senso di nostalgia alla vera musica, alle sue immortali armonie, e al vero culto dell'Immacolata Regina che ha fatto sentore in questi giorni un potente invito ad essere partecipi e collaboratori delle sue novelle Vittorie.
Degna corona pomeridiana della solennità è stato il congresso Mariano, che ha rivisto la basilica stipata della fiorente Milizia, e sotto le decine di vessilli ha rinnovato il giuramento di fedeltà e la promessa di attività alla sua coronata Regina.
All'ardente parola del Predicatore è seguita quella del presidente dell'Assemblea Mons. Angelo Zampieri.
Le acclamazioni ed i propositi, animati dal direttore regionale della milizia p. Luigi Faccenda, hanno suggellato il convegno, coronato infine dalla trina benedizione eucaristica di Mons. Zampieri, Vescovo di Guastalla.
Poi tutto il popolo si è riversato nel chiostro francescano ad ammirarvi la ricca mostra mariana e missionaria, facendo acquisti e offrendo il nome per generosa collaborazione».

Notizie e immagini dall'archivio della ex Provincia Bolognese dei Frati Minori Conventuali conservato presso il Convento San Francesco di Bologna. Circa Enea Stefani si veda la pagina di antichistrumentiorafi.it.

20 gennaio 2019

La statua dell'Immacolata di Prudenzio Piccioli (1848 ca) in San Francesco

 

La statua dell'Immacolata, collocata all'interno dell'omonima cappella già dedicata a san Bernardino, è opera dello scultore spilambertese Prudenzio Piccioli (1813-1883) che nel 1848 curò il restauro della quattrocentesca pala marmorea dell'altare maggiore, opera dei fratelli veneziani Pierpaolo e Jacobello Delle Masegne. Fu proprio in quegli stessi anni che il Piccioli realizzò la statua dell'Immacolata Concezione di dimensioni più che reali, «ispirata alla pittura del Sassoferrato». È attualmente posta entro una corona di nubi gotiche nella forma a mandorla (o vesica piscis) realizzata nel 1957 da Severino Gardesani su disegno di Guido Atti.
La statua fu commissionata dopo che, dopo le soppressioni del secolo precedente, nel 1819 i frati poterono riaprire al culto la Cappella Muzzarelli, ed esposta sull'altare maggiore con ai fianchi, in due nicchie, le statue di san Ludovico, re di Francia, e santa Elisabetta d'Ungheria, patroni del Terz'Ordine Francescano (oggi Ordine Francescano Secolare).
Con le nuove soppressioni del 1863 e il decreto prefettizio del 1866 che ordinava la nuova chiusura della chiesa e la sua destinazione ad uso militare, la venerata immagine fu trasferita nella chiesa di San Girolamo della Certosa. Da lì fu riportata in San Francesco dopo che nel 1877, in attesa del ripristino della chiesa, fu nuovamente riaperta al culto la vecchia sacrestia, la Cappella Muzzarelli appunto, che venne dedicata all'Immacolata. 
In occasione del restauro e parziale trasformazione del 1957 ad opera dello scultore scultore e plastificatore faentino Gaetano (Tano) Dal Monte (1916-2006), si ruppe la testa in gesso che fu rifatta in cartapesta (cf. lettera al p. Stanislao Rossi del 7 febbraio 1957). La statua fu solennemente incoronata dal Cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo metropolita di Bologna, il 13 maggio 1962.

La statua prima dell'intervento del 1956

Le notizie relative alla statua e al suo autore sono tratte dalla scheda di www.storiaememoriadibologna.it e da alcune note sul culto dell'Immacolata a Bologna redatte nel 1954 da p. Bartolomeo Casoni Dal Monte e conservate nell'archivio del convento. Per il restauratore si veda la pagina di www.ilbuonsenso.net. Si veda anche: Virgilio Davia, Cenni intorno al nuovo simulacro di Maria Santissima Immacolata opera dello scultore Prudenzio Piccioli che si venera nella Chiesa de' RR. PP. Minori conventuali di S. Francesco in BolognaBologna, Tip. alla volpe, 1848.

A lato la pianta della chiesa di San Francesco con indicata la posizione della "Cappella dell'Immacolata" (già di San Bernardino).

19 gennaio 2019

La Seliciata di San Francesco in una incisione di Pio Panfili anteriore al 1806

Pio Panfili
Veduta della Piazza detta la Seliciata di S. Franc[es]co in Bologna
(ante 1806)
incisione all'acquaforte su carta, 146x188 mm
Bologna, Biblioteca Comunale dell'Archiginnasio, GDS, Cartone Panfili c. 4


Il Gabinetto disegni e stampe dell'Archiginnasio di Bologna conserva una raccolta di disegni e stampe di Pio Panfili (1723-1812) tra cui una veduta della cosiddetta seliciata di San Francesco, l'attuale Piazza Marcello Malpighi, col fianco orientale del complesso conventuale, l'abside e i campanili della chiesa e, sulla sinistra, la colonna dell'Immacolata.

Scheda dell'opera alla pagina di badigit.comune.bologna.it da cui è tratta l'immagine qui pubblicata.

16 dicembre 2018

Una veduta dell'abside di San Francesco dalla centralissima Piazza Maggiore di Bologna


Se in Piazza Maggiore si sale sulla gradinata della basilica di San Petronio e si guarda il prospiciente Palazzo del Podestà si potrà notare, oltre il finestrone centrale del Salone dei Quattrocento, l'abside del bel San Francesco.

Fig. 02
Si tratta di un affresco [Fig. 02] conosciuto come La Città degli studi del ciclo decorativo  del 1907 promosso nel dalla Società Francesco Francia e vinto dal progetto Savena dell'architetto Alfredo Brizzi e del pittore Adolfo De Carolis (1874-1928), ex allievo dell'Accademia bolognese sotto la guida di Domenico Ferri.
La composizione, inscritta in un arco, come le altre scene della parete che "riassume in forma d'arte la storia e i fasti della città di Bologna", può essere divisa in tre registri: in quello superiore, che occupa oltre la metà dell'affresco, l’abside di San Francesco con la tomba di Irnerio in stile neogotico; al centro, è allineata la teoria dei dottori, studiosi e poeti, “ieratici nei loro costumi arcaizzanti”, tra i quali è riconoscibile, di profilo, Dante Alighieri; in primo piano, gli scolari e le allegorie del Trivio e del Quadrivio vivacizzano la scena nella varietà delle loro pose.

03

04

Le notizie e la Fig. 02 sono tratte dalla pagina di www.bibliotecasalaborsa.it (con ricca bibliografia); altre notizie si ricavano dalla scheda di www.culturaitalia.it relativa al bozzetto ad olio conservato nella "Raccolta De Carolis" del Comune di Montefiore Conca e da cui è tratta la Fig. 03 (vedi in proposito anche la scheda di www.museipiceni.it). Il Museo d'Arte Moderna di Bologna (MAMbo) conserva il progetto della decorazione dell'intera parete nord di cui la Fig. 04 (vedi scheda di www.mambo-bologna.org).

11 dicembre 2018

Tracce di un antico affresco alla base del campanile grande di San Francesco


Solo un occhio attento riesce a riconoscere alla base del campanile grande, lato settentrionale, sotto l'atrio romanico, la traccia di un dipinto raffigurante due santi di cui ancora rimane, insieme ad una sorta di ombra, il duplice rilievo delle aureole.
L'archivio della Fondazione Federico Zeri di Bologna ne conserva una foto scattata dallo studio bolognese Achille Villani & Figli (notizie e immagine 02 dalla pagina di catalogo.fondazionezeri.unibo.it). Il p. Luigi Garani nel suo Il bel San Francesco di Bologna del 1948 (Bologna, Tipografia Luigi Parma) ne accenna in questi termini: «Su di un pilone fu scoperto, durante i lavori di restauro del secolo scorso, un affresco quattrocentesco, rappresentante i SS. Pietro e Paolo, ora completamente svanito» (p. 257). Di quei giorni le foto 03 e 04 tratte dall'archivio della Fabbriceria (cart.gr. V, cc 8 e 8bis, segnalazione di Elisa Baldini).

02

03

04

9 dicembre 2018

La preghiera all'Immacolata dell'Arcivescovo Matteo Maria Zuppi in occasione della Fiorita 2018


Vergine Santa e Immacolata, 
madre che custodisci con amore tutta la città degli uomini e ogni persona, 
cercare te ci aiuta ad alzare il nostro sguardo e trovarti ci riempie di gioia. 
Ci rivolgiamo a Te con la fiducia e l’intimità dei figli, 
sentendo la dolcezza della tua protezione. 
Tu vuoi che i nostri occhi rimangano fissi in Dio 
per potere contemplare il mondo e saper vedere oggi segni dell’avvento.
Maria tutta santa, tu susciti in noi un rinnovato desiderio di santità, 
cioè vivere l’amore che Dio ha messo nel cuore di ognuno 
e per il quale siamo a questo mondo. 
Tu conosci le nostre fatiche, 
le ferite nascoste del nostro cuore, 
la tentazione di non credere più all’amore 
e di fare vincere la disillusione che spegne la speranza. 
Donaci la gioia di ascoltare e seguire il tuo Figlio, 
l’entusiasmo di correre come te verso i nostri fratelli. 
Insegnaci a non giudicare senza aiutare, 
a non lasciare nessuno solo, particolarmente nella sua debolezza, 
a non arrenderci alla difficoltà.

Maria, Tota pulchra, tutta bella, 
ti ringraziamo perché in un mondo complicato e che ci riempie di paure, 
individualista e alla ricerca del prossimo, presuntuoso e fragile, 
Tu ci mostri la bellezza che non delude e non finisce, il tuo figlio Gesù. 
In Te vediamo tutta la grazia di essere amati da Dio, 
la forza che innalza gli umili 
e capiamo che il valore e la bellezza delle nostre povere persone 
non viene dalla vanità dell’orgoglio ma dall’amore di Dio.

Maria, Madre delle tenerezza, 
insegnaci a proteggere il dono della vita dal suo inizio alla sua fine. 
Aiuta i piccoli della nostra Città e le loro famiglie, 
i bambini, soprattutto quelli che sono malati e gli anziani, 
chi sperimenta l’amarezza della solitudine o non si riconosce più. 
Ti preghiamo con tanta insistenza per i giovani 
perché con coraggio mirino alle cose più belle 
e conservino sempre un cuore libero, 
rispondano come Te alla chiamata che Dio rivolge a ciascuno, 
perché realizzino il proprio progetto di vita e raggiungano la felicità.

Maria 
insegnaci ad essere comprensivi e solidali con chi ha bisogno, 
a coltivare il senso del bene comune e di ogni persona, 
a parlare sempre la lingua dell’amore 
che tutti comprendono nella loro condizione, 
perché si veda attraverso di noi la luce della speranza di Dio e la sua presenza.
Esaudisci le suppliche che portiamo nel nostro cuore e affidiamo a Te. 
Sia in noi la bellezza dell’amore di Dio in Gesù, 
sia questa divina bellezza a salvare noi, la nostra città, il mondo intero. 

Amen.

Matteo Maria Zuppi
Arcivescovo metropolita di Bologna
8 dicembre 2018
(dalla pagina di www.chiesadibologna.it)